martedì 25 giugno 2024

sono finalista al concorso ioscrittore

scrivo da più di vent'anni, pubblico dal 2013. in questo tempo ho firmato 8 contratti di edizione, di cui tre con anticipo. ho vinto un paio di concorsi "prestigiosi" e tutto questo, nel Mondo Editoriale Vero, non ha alcun valore. più nello specifico:

* pubblicare solo in digitale non conta nulla (2 libri con zandegù e uno con delos digital)

* pubblicare con un editore tradizionale piccolo non conta nulla (augh! edizioni)

* pubblicare in self non conta nulla 

* pubblicare libri per ragazzi non conta nulla - meno di nulla se pubblichi con un editore piccolo (mimebù) comunque un discreto nulla se ti pubblica lo stesso editore di rodari (edizioni el / einaudi ragazzi)

ho alle spalle dieci anni di carriera irrilevante. così irrilevante che ho partecipato a ioscrittore, un concorso per autori esordienti (sono già esordita molte volte, ma chiaramente nessuno se n'è accorto).
il mio incipit è tra i 400 (su 3.000) a passare alla seconda fase del torneo. vi dirò, lì per lì ero felicissima di essere tra passata. poi ci ho pensato.

non ho alcuna speranza di vincere ioscrittore, ho mandato un testo palloso, in cui succede poco. avrei alcune settimane per revisionarlo e renderlo più interessante, ma è un romanzo stanco, senza pubblico, che ho scritto 5 anni fa e che al termine del torneo avrebbe come sbocco naturale l'ennesima pubblicazione irrilevante a distanza di 7 anni da quando l'ho scritto. l'editoria in pratica è come le stelle: rende visibile una luce che è stata emessa con grande entusiasmo talmente tanto tempo fa che al momento in cui viene vista (da quattro gatti) la luce si è spenta.

venerdì 31 maggio 2024

"l'inventario delle mie stranezze" va al macero

"l'inventario delle mie stranezze" in tutto il 2023 ha venduto -17 copie. non 17, meno diciassette. un numero negativo.
succede perché i clienti dell'editore sono le librerie. le librerie però hanno il diritto di resa, cioè, se i libri che hanno acquistato tramite i distributori non vendono, possono renderli.
meno 17 significa che la differenza tra le librerie che hanno richiesto il libro da magazzino e quelle che il libro l'hanno reso, è stato di 17 unità superiore per i resi.
quando un libro va così male, un editore per contenere le perdite (tenere fermi in magazzino libri che non si vendono è un costo) manda il libro "fuori catalogo" ovvero decide di sbarazzarsene vendendo tutte le copie in giacenza ai remainders e poi macerando quel che resta, che viene pagato un tanto al chilo - ma più probabilmente al quintale o alla tonnellata - in quanto carta riciclabile. (no, per legge le copie invendute non posso essere regalate alle scuole o alle associazioni o alle carceri)

"l'inventario delle mie stranezze" esce da catalogo ed è destinato al macero

"l'inventario delle mie stranezze" è un romanzo che ha come protagonista una ragazzina che scopre di essere autistica. perché ho scritto un libro del genere?
perché, dopo un percorso di consapevolezza durato cinque anni, avevo avuto la mia diagnosi di autismo ad alto funzionamento / sindrome di asperger.
scrivere quel libro mi è servito per chiudere un capitolo, per fare pace con il mio passato di bambina pigra, maleducata, schizzinosa, troppo sensibile, con bassa autostima. tutte etichette che nel tempo mi sono state date perché da me, bambina autistica, si pretendeva un comportamento neurotipico.
in quel romanzo ho immaginato per me una sliding door, la possibilità di non essere colpevolizzata per quello che non potevo essere perché neurodivergente.

l'ho scritto perché io stessa, come la protagonista, sono autistica

per promuovere questo libro mi si presentavano due possibilità: fare coming out come persona autistica e diventare la  Elle McNicoll italiana, cioè la scrittrice autistica che fa attivismo e scrive solo storie autistiche con personaggi autistici per sensibilizzare sulla condizione autistica. o far finta di niente.
far finta che l'autismo non mi riguardasse in prima persona e promuovere il libro come un libro. 
ho scelto la seconda strada perché una delle caratteristiche autistiche che più sono impattanti nella mia vita è la rejection sensitivity dysphoria (RSD), ovvero l’estrema sensibilità emotiva e il dolore innescati dalla percezione di essere stati respinti o criticati. lo so, fa male a tutti. alle persone con RSD di più, molto di più. 
tre anni fa non ero pronta a dire pubblicamente del mio autismo, sapevo che non farlo avrebbe danneggiato la diffusione del libro ma speravo di compensare spendendo in facebook ads targettizzati a persone interessate all'autismo (cosa che all'inizio ho fatto ma che presto non è stata più possibile per delle restrizioni dovute alla privacy).
esporsi online, su qualsiasi tema, anche solo cucinando la torta di mele, rende bersaglio delle critiche più feroci, assurde e ingiustificate.
due mesi fa ho pubblicato un paio di video che seguivano il trend "sono [una scrittrice emergente] ovvio che...". questi video hanno avuto più delle solite 300 visualizzazioni e quella briciola infinitesimale di visibilità è stata sufficiente per sentirmi dire nei commenti che sono vecchia e che ho la fronte così ampia che prende il 5g. è bastato per non farmi più postare altri video.
lo so, devo fregarmene, è così, la gente online non capisce che..., pensa chiara ferragni.
ma come dicevo soffro di RSD, non so fregarmene. non avrei sopportato di dover ribattere ai prevedibili "ma non sembri autistica", "l'autismo è un'altra cosa, sono i bambini non verbali che dondolano e sfarfallano e dicendo che sei autistica stai offendendo le famiglie che hanno a che fare con il vero autismo..."
ammiro molto fabrizio acanfora e red fryk hey e federica lucà e tutte le persone che fanno attivismo... ma io non ci riesco. diventare un bersaglio per gli sciroccati che non hanno di meglio da fare che insultare la gente online sarebbe a dir poco deleterio per la mia salute mentale già precaria. e poi non voglio che l'autismo diventi l'unica cosa che so e che sono.

promuovere il libro come persona autistica avrebbe aiutato le vendite ma non l'ho fatto per tutelare la mia salute mentale

sono sempre più convinta che i libri - a meno di essere uno dei pochi titoli di punta dell'editore, su cui viene fatto uno sforzo di marketing extra - arrivino solo fin dove chi li ha scritti riesce a portarli e comunicarli. un libro vende in base al seguito social dell'autore o dell'autrice, in base alla sua visibilità ed esposizione. [esempio personale: il 28 febbraio ho interrotto la running challenge causa bronchite, da quel giorno le recensioni a "un miglio al giorno" non sono più aumentate.]
il fatto che il libro esista e arrivi in libreria non ha nessuna importanza, a meno di non avere prime tirature che permettano edilizia libraria, si è invisibili. se si è molto fortunati si sta sul tavolo delle novità con un paio copie per due settimane, per due mesi si sta di costa a parete, e poi avanti il prossimo. si pubblicano sempre più libri e le tirature sono sempre più basse. in vent'anni la tiratura media si è più che dimezzata. adesso è attorno alle duemila copie.
è un sistema feroce, che scontenta tutti gli attori della filiera editoriale - tranne forse i distributori - e che nessuno sembra volere o poter cambiare.

"l'inventario delle mie stranezze" va al macero, non perché è un brutto libro, ma perché non ho mostrato la mia diagnosi, non ho fatto del mio autismo uno strumento di marketing.

sabato 13 aprile 2024

just tell them you deserve to be there


il 19 marzo un'amica scrittrice mi ha girato su instagram questo post: kathrine switzer (la prima donna a correre la maratona come atleta registrata) sarebbe stata ospite di "libro aperto" il festival della letteratura per ragazzi di baronissi (SA) il 12 aprile.
subito con l'ufficio stampa ci siamo attivate per capire come fare a far arrivare al festival anche il mio romanzo "un miglio al giorno" che parla proprio di kathrine switzer e che ha la postfazione scritta da lei in persona.
gli organizzatori hanno detto che la libreria collegata al festival avrebbe ordinato delle copie e la cosa poteva finire lì.

INVECE

visto che kathrine switzer è una donna straordinaria, mi ha scritto che sarebbe intervenuta al festival (in collegamento da boston) e mi ha detto che avremmo dovuto fare in modo di esserci col libro. le ho spiegato che avevamo già contattato il festival e la cosa poteva finire lì.

INVECE

visto che kathrine switzer è una donna straordinaria, mi ha scritto di nuovo.
incollo qui sotto la mail perché è così carina che non ci si crede. (sottolineo che lei è a boston perché lunedì ci sarà la maratona, quella cui lei ha partecipato nel 1967 con il pettorale 261 facendo la storia, e ora è indaffaratissima con i preparativi.)



per chi non sa l'inglese: è con grande orgoglio che oggi ho parlato ai ragazzi del festival letterario a cui ho mostrato una copia del tuo libro e tutti si sono entusiasmati perché lo conoscevano già! la persona che presentava ha detto "certo, lo stiamo leggendo". spero lo facciano mia cara silvia, e spero che il prossimo anno ci sari tu tra gli ospiti. digli semplicemente che meriti di esserci. con affetto kathrine

mercoledì 3 aprile 2024

"un miglio al giorno" al premio strega


è uscito l'elenco dei libri proposti al premio strega ragazze e ragazzi. contrariamente allo strega adulti in cui sono "gli amici della domenica" a proporre i libri, qui sono gli editori stessi a mandarli, e ne possono inviare uno per categoria.

il mio editore, per la categoria 11+, ha mandato il mio "un miglio al giorno" che compete con altri 45 libri, pubblicati da editori più grandi e noti, scritti da autori e autrici più grandi e noti.
e non ci sto credendo nemmeno per un secondo che tra i selezionati ci sarà il mio libro. almeno tre volte al giorno guardo gli altri titoli proposti e mi dico "figurati se pigliano il mio invece che [inserire titolo/autore a caso]". 
"del resto un miglio al giorno" è stato candidato dall'editore sia al campiello junior sia al premio bancarellino, e - spoiler alter - non se lo sono filati neanche per sbaglio e non se n'è accorto nessuno, a parte il mio cortisolo.

paradossalmente ho creduto più plausibile vincere un finanziamento di 7.000 dollari a fronte di 1.870 candidature. spoiler alert, non sono entrata nemmeno nella prima scrematura.

anche "maschiaccio e femminuccia" nel 2020 era stato candidato allo strega ragazze e ragazzi, nella categoria 8+ e anche lì nessuno se n'era accorto a parte la mia fame nervosa.

c'è mia cugina che mi ripete che non mi rendo conto. che pochissimi autori e pochissimi libri raggiungono i traguardi che ho raggiunto io coi miei romanzi e a me sembra tutto un po' deludente e anticlimatico, quando invece dovrei essere orgogliosa e felice.

quindi siate orgogliosi e felici per me. almeno fino al 10 aprile, quando scopriremo che nessuno si è accorto di niente. tranne il conto in banca della mia psicoterapeuta.

martedì 26 marzo 2024

altro che maratona

non corro da un mese.
a fine febbraio sono andata a presentare "un miglio al giorno" in una classe di angioletti in provincia di pordenone e loro per ringraziarmi mi hanno attaccato uno di quei malanni inguaribili che solo i bambini portano in giro.
all'inizio pensavo fosse una banale influenza, con molta tosse, ma la questione non si è ancora risolta. da settimane mi porto in giro un dolore al petto per niente trascurabile. il dottore dice che i polmoni sono puliti. che è solo un dolore muscolare.

comunque, quello che nei miei sogni doveva essere il mio picco di forma, il momento in cui avrei corso la mia prima maratona, si è trasformato nel mio colpo di grazia. 

ho corso per più di un anno per almeno tre volte a settimana. adesso non corro da un mese e mi sembra che potrei continuare a non farlo. ci sono runner che se saltano un allenamento o due muoiono per la nostalgia, e poi ci sono io, l'impostora, che sta pensando che ormai potrebbe non correre mai più.





sabato 24 febbraio 2024

running challenge - bagno di realtà

avevo detto che avrei corso la mia prima maratona entro fine febbraio. ma era solo una pia illusione. la verità è che non sono nella condizione fisica né mentale per riuscirci senza farmi male e odiare ogni passo dopo il 25° chilometro. ma forse anche quelli prima.

e voi direte, vabbè, che te frega se non la corri adesso, continua ad allenarti e corrila ad aprile, a maggio. nessuno ti corre dietro e hai il tempo che ti serve per raggiungere lo stato di forma necessario.

ma la vera verità è che non ne ho voglia. non ho voglia di mettere altro tempo e chilometri e allenamento per riuscirci. semplicemente correre una maratona non mi interessa abbastanza. pensavo che mi interessasse, poi mi sono resa conto di quanto impegno davvero richiede e ho capito che lo sforzo da fare è superiore a quello che sono disposta a mettere in campo per raggiungere l'obiettivo.

grazie a chi ha seguito la running challenge fin qui. grazie a chi ha lasciato recensioni
se mai arriveranno davvero a 42, prenderò in considerazione la possibilità di allenarmi come si deve, magari con maggiore criterio e un personal training.

domenica 28 gennaio 2024

come procede la running challenge


è iniziata l'1 novembre con 9km: uno per ogni recensione su amazon al mio romanzo "un miglio al giorno"

la progressione è stata questa:
settimana 1 - 9km
settimana 2 - 13km
settimana 3 - 14km
settimana 4 - 15km
settimana 5 - 15km
settimana 6 - 18km
settimana 7 - 20km
settimana 8 - 20km
settimana 9 - 22km
settimana 10 - 23km
settimana 11 - 24km
settimana 12 - 26km
settimana 13 - 28km


ieri ho corso 28km: 2/3 di maratona.
ho corso piano, mi sono presa diverse pause per camminare durante le quali bere, ciucciarmi i gel, filmare. ho ascoltato un podcast che mi ha tenuta distratta per tutto il tempo - ed è stato tanto - che ci ho messo per portare a casa la distanza. (i piani di allenamento per principianti dicono che non è importante la velocità ma il tempo che passi sulle gambe, l'idea è di abituare le gambe alla fatica)
alla fine mi sono chiesta se davvero mi sento in grado di correre altri 14 km. e la risposta è stata no. ma sono abbastanza testarda da non accettare un no come risposta, quindi si va avanti, ci si affida al processo e si spera. nel mio caso, spero di non farmi male. perché a fare le cose a caso come sto facendo io il rischio di un infortunio è molto alto.
non credo di essere molto brava a trasmettere quanto è faticoso e sfidante, né di quanta voglia di stare sul divano faccia da contrappeso al buttarsi là fuori, nel freddo, per così tante ore. (pensate a una distanza che percorrete abitualmente in macchina, per andare al lavoro o a fare la spesa, e guardate quant'è su google maps. poi confrontatela con i 28km che ho percorso ieri sulle mie gambe)
e la cosa peggiore in assoluto, che fa parte del mio essere in ogni ambito, è l'incapacità di vedere i miei traguardi come tali.



pubblico un libro? ma certo, ho studiato come si fa, mi sono messa a scriverlo, l'ho scritto, ho trovato un editore. è un processo lineare, una questione di azione-reazione: se fai i compiti non può che andare a buon fine. certo, ci saranno delle attese, dei rifiuti - inevitabili - ma agendo su ciò che si può controllare, il risultato è scontato, inevitabile. non è una questione di se, ma di quando.

così con la corsa: se mi alleno con costanza, ovvio che riesco a correre una maratona. se mi allenassi di più e meglio, se mangiassi più frutta e verdura, lo farei anche a una velocità decente. e in questa frase, oltre a non celebrare tutto lo sforzo che sto facendo, mi sto anche colpevolizzando per lo sforzo che dovrei fare e non sto facendo.
correrò una maratona? di sicuro! non è questione di se, ma di quando. e sarà solo la diretta conseguenza delle mie azioni. e sono sicura che al traguardo, invece di dirmi brava per non aver mollato, mi rimprovererò per quanto sono stata lenta.

una delle mie molte psicologhe mi ha detto che a quarant'anni bisogna smettere di incolpare i propri genitori per qualsiasi cosa vada male nella propria vita attuale, tuttavia sono certa che il mio dialogo interiore, tutti i "non sei abbastanza", "non vai bene", "non sei capace", "non ti impegni a sufficienza" siano l'eco di quelli che mi sono sentita dire in famiglia per almeno due decenni.

vorrei dire che sono fiera di me - sia per la pubblicazione che per tutti i km percorsi fin qui, che mi sto godendo il processo, che è tutto molto bello ed entusiasmante, che non vedo l'ora, che voi siete fantastici ad avere lasciato tutte quelle recensioni e che è tutto bellissimo.
ma il mio dialogo interiore dice altro.

voi continuate a leggere e recensire, io continuo a correre. 
dai dai dai.

lunedì 1 gennaio 2024

Mio padre è una ghiandaia

Per i suoi 18 anni Carla si era fatta tatuare una ghiandaia sul braccio. 

Il primo a dirle che non era una buona idea era stato il tatuatore stesso: “Perché vuoi un uccello brutto, al contrario, sul braccio?”

Lei avrebbe voluto rispondere che intanto non era un uccello qualunque ma una ghiandaia, che non era brutto ma stupendo, che non era al contrario perché lei lo avrebbe visto drittissimo, e che non era sul braccio ma sull'avambraccio. E poi il cliente non ha sempre ragione? Se ti pago per farmi soffrire, fai quello che ti chiedo e taci.

Ma non aveva detto niente.

“Un tatuaggio è permanente, non stiamo giocando coi trasferelli” aveva continuato lui, guardandola con sufficienza.

“Non ho cinque anni” aveva risposto Carla, piccata.

Alla fine, anche se lo studio era una stanza buia e umida in un sottoscala, anche se il tatuatore puzzava di sudore, anche se non le aveva dato la ricevuta ed era stato fastidioso quanto l’ago che le aveva marchiato la pelle, aveva fatto un buon lavoro a un buon prezzo. 

Carla aveva ottenuto la sua ghiandaia, appollaiata su un ramo, con le piccole piume azzurre laterali belle lucenti. Le avrebbe ricordato che ci sono due modi di stare al mondo: uno buono, e uno cattivo. Lei sapeva quale avrebbe scelto, sempre. 


Il libro ha una copertina di plastica verde. Si intitola Uccelli d’Europa, ha 112 illustrazioni a colori. Carla, seduta in cortile, lo sfoglia avanti e indietro, cerca di capire come si chiamino gli uccelli che vede. Ma le sembrano tutti uguali.

Quando suo padre le passa accanto per addentrarsi nel bosco, Carla dice: “Posso venire anch’io? Mi spieghi gli uccelli?”

Il padre le prende la mano libera, quella in cui non tiene il libro. “Andiamo” dice.

Camminano in silenzio, tra l’erba alta e gli sterpi. I rovi le si impigliano nella maglia, le graffiano gli stinchi.

Quando si fermano, in mezzo al bosco, suo padre le lascia la mano. Toglie il fucile dalla spalla. Carla non si era accorta del fucile.

Lui glielo porge: “Tieni” dice.

Le strappa il libro di mano e lo butta per terra, la aiuta a imbracciare l’arma, a mettere l’occhio sul mirino.

“Dai, spara” la incoraggia indicandogli un uccello appollaiato su un ramo poco distante.

Carla si gira verso suo padre e gli punta la canna del fucile addosso.


“Ma che cazzo di tatuaggio ti sei fatta?” fu la prima frase che le rivolse fuori da un locale un ragazzo che le piaceva un po’. Si chiamava Sam. Erano stati insieme per alcuni mesi. Dopo il sesso lui le accarezzava l’avambraccio e le diceva “tu sei matta, questo tatuaggio è fuori di testa”. A lei sembrava divertente. Ma solo perché era innamorata. Solo quando lui la mollò lei capì che la loro fine era già contenuta in quella prima frase “Ma che cazzo di tatuaggio ti sei fatta?”


Si era fidanzata con Tommaso perché fu l’unico a dirle: “La ghiandaia è un uccello magnifico. Cosa significa per te?”

“Mi ricorda mio padre” aveva detto lei malinconica.

“Oh, mi dispiace” aveva replicato lui.

Non ne avevano più parlato. Anche se erano andati a convivere, anche se si erano sposati, anche se stavano insieme da diciannove anni. 

La famiglia di Tommaso aveva adottato Carla. Sapevano che era orfana, aveva solo Nina, una sorella minore di dieci anni che abitava in un posto vago e lontano difficile da raggiungere.


L'avambraccio fu percorso da una fitta. 

Carla accese la luce sul comodino con uno scatto.

“Che succede” le chiese Tommaso?

Lei guardò il tatuaggio.

“Mi fa male.”

“La pelle sembra arrossata” confermò Tommaso accarezzandole il polso. Carla si chiese se fosse possibile che le stesse facendo infezione dopo tutti quegli anni. Doveva capirlo che quell'imbecille non era affidabile: due mesi dopo che le aveva tatuato la ghiandaia gli avevano chiuso lo studio per il mancato rispetto delle norme igienico sanitarie. Adesso che ci pensava, forse non indossava nemmeno i guanti.

Carla stava ancora chiedendosi se fosse meglio mettere una pomata, del ghiaccio oppure nulla quando il cellulare squillò. 

Era Nina. Strano, non la chiamava mai, tantomeno la sera così tardi. 

“Papà, sta morendo.”

Silenzio.

“Dovresti venire”.

“A fare cosa?” chiede curiosa Carla.

“A dirgli addio” aveva concluso Nina.



“Che succede?” le chiese Tommaso dopo che ebbe riattaccato. 

“Mio padre. È ricoverato.”

“Avevo capito che era morto anni fa” rispose Tommaso confuso. 

“Infatti è così.”

“Mi avevi detto che ti eri fatta tatuare la ghiandaia perché ti ricordava tuo padre.”

“Infatti è così” aveva tagliato corto Carla, spegnendo la luce. 

Cercò di riaddormentarsi nonostante il fastidio al braccio. Alla fine andò in bagno, aprì l’armadietto delle medicine e prese un antidolorifico. Non fece effetto. Tommaso respirava tranquillo accanto a lei, provò a imitarlo.

Nel cuore della notte qualcosa le trafisse l’avambraccio. Si svegliò di soprassalto, urlando per il dolore. Accese a tentoni la luce.

La ghiandaia stava spiegando le ali. Carla allungò un dito tremante per accarezzarne le piume azzurre. Le ricordava più morbide. Il becco, per farsi strada verso il fuori, scavò la pelle. Infine l’uccello volò via.


Carla sta giocando a saltare nei cumuli di fieno quando sente il cigolio della porta del capanno che si apre. 

Vede suo padre entrare e dopo pochi istanti lo vede uscire, col fucile da caccia sulla spalla.

Sa che non deve, sa che suo padre la punirà quando la scoprirà, ma ugualmente lo segue, a distanza, senza fare rumore, nascondendosi dietro gli alberi, acquattandosi nei cespugli.

È stata altre volte nel bosco, le sembra di conoscerlo abbastanza bene. Suo padre procede, si abbassa sotto ai rami, scavalca i rovi, punta i piedi di traverso nella discesa. A un tratto si ferma, prende il fucile, punta la canna. Carla resta immobile, a distanza, trattiene il fiato. Non sa cosa ci sia nel mirino, ma sa che qualsiasi cosa suo padre metta sotto tiro non ha scampo.

Sente lo sparo, non solo con le orecchie, ma anche nello stomaco che vibra.

Un uccello cade dal ramo. Carla sente il tonfo sordo del corpo sul terreno, o forse lo immagina soltanto. O forse è l’eco del colpo che si disperde nell’aria.

Suo padre passa oltre la vittima, la ignora. 

Carla aspetta che lui si allontani e si precipita sull’uccello, si inginocchia lì accanto. Non ha mai imparato a distinguere gli uccelli, continuano a sembrarle tutti un po’ uguali, ma quella a terra è una ghiandaia europea, la riconosce perché c’è nel libro degli uccelli, a pagina sessantacinque, ha le piume azzurre sulle ali.

È ferita, ma non è morta, la vede muoversi. La accarezza con un dito. Ha paura. Paura che la ghiandaia la becchi. Paura che le muoia tra le mani.

Paura che suo padre torni indietro e la scopra e la picchi. La prende tra le dita tremanti, la porta a casa, la nasconde in una scatola che tiene in camera sua sotto la scrivania e le dà dei semi, delle foglie di lattuga, dei pezzi di mela, dei vermi che tira fuori dalla terra dopo averla smossa con una piccola zappa. È di questo che si nutrono le ghiandaie, c’è scritto nel libro con la copertina verde.

Dopo alcuni giorni, quando la ghiandaia è di nuovo pronta a volare, Carla la porta nel bosco e la lascia su un ramo basso. Nessuna delle due se ne vuole andare. Tranne una lacrima che sfugge dalle palpebre di lei.