martedì 28 settembre 2021

progetto di scrittura #1 - un libro di corsa


un anno fa mi trovavo in un limbo, ero in attesa di sapere se einaudi ragazzi avrebbe accettato di pubblicare “l'inventario delle mie stranezze”, (spoiler alert: sì, ha accettato) e stavo cercando disperatamente l'idea per un nuovo libro.

ci sono scrittori/scrittrici che hanno molte più idee di quante possano concretizzare, io no. non so mai se o quando arriverà un'idea buona per un libro.

a novembre ero così disperata al pensiero che non avrei mai più scritto nulla che ho iniziato a frequentare il corso “scrivere per ragazzi” della scuola holden.

il corso prometteva che entro la fine di gennaio avremmo avuto tra le mani un progetto di libro, ed era proprio quello di cui avevo bisogno.

ho passato il mese di dicembre a convincermi che avrei scritto un libro per ragazzi a tema minimalismo: due sorelle, una frugale e una malata di shopping...


a gennaio ho acquistato l'ebook “i can run”. era in offerta del mese su amazon e io ero diventata tutt'uno col divano. volevo ricominciare a correre. dentro quel libro c'era un'intervista a Kathrine Switzer, la prima donna a correre una maratona come atleta registrata nel 1967. Boooom.

ho ripreso a correre ascoltando ore di podcast e di interviste alla Switzer, che è ancora bella arzilla e a settant'anni suonati corre e porta avanti l'associazione no-profit 261 fearless eccetera eccetera.

ho letto la sua autobiografia “marathon woman” e ho deciso che la sua storia era troppo bella e potente per restare lì.

le sorelle minimaliste sono state velocemente dimenticate e a fine aprile non solo riuscivo di nuovo a correre per un'ora consecutiva, ma avevo finito il mio nuovo romanzo: “un miglio al giorno – storia della prima maratoneta”.

in questi mesi “un miglio al giorno” è stato rifiutato da una mezza dozzina di editori. sto aspettando ancora qualche risposta. se nessuno si dirà interessato entro aprile 2022 ho deciso che lo autopubblicherò.

Ecco un piccolo estratto dal libro di corsa:

Mio padre si liscia la barba e dice: - No, tesoro, sono sicuro che non vuoi diventare una cheerleader, sono così stupidine.

Non ha tutti i torti, le cheerleader hanno l'aria di non avere un cervello, ma sono sicura che essere una di loro mi aprirebbe le porte per la popolarità, lo dice anche Helen, mi farebbe sembrare carina e interessante. Potrei fare il tifo per John insieme alle altre, sarebbe più facile avere delle amiche, avvicinare i ragazzi.

- Non voglio saperti a gironzolare attorno agli armadietti in attesa dei ragazzi - dice mia madre, guardandomi da sopra le lenti degli occhiali da lettura.

- E poi - aggiunge mio padre - non dovresti stare in disparte a fare il tifo per gli altri, gli altri dovrebbero fare il tifo per te. Ti piace correre, sei un'atleta in gamba.

I complimenti di mio padre sono sempre una carezza gradita. Resto in silenzio, sperando che continui. 

- La vita è fatta per essere protagonisti, non spettatori. La tua scuola ha una squadra femminile di hockey. Dovresti farne parte, essere una leader.

- Ma non ho la più pallida idea di come si gioca a hockey, non mi faranno mai entrare nella squadra - protesto.

- È facile, basta che ti alleni. Corri un miglio ogni giorno e in autunno sarai pronta per la stagione dell'hockey.

- Un miglio? - urlo. Mio padre è impazzito. Un miglio è lunghissimo, sono uno virgola sei chilometri, un'immensità, tipo la distanza da qui alla luna. Correre un miglio, per quanto ne so, è come scalare l'Everest.

- Guarda, ti spiego come fare - prende un foglio di carta e una penna, disegna un rettangolo (casa nostra) e poi un rettangolo esterno più grande. - Il nostro giardino misura quaranta per ottanta, quanto fa il perimetro?

- Duecentoquaranta metri - rispondo, impiegando più tempo di quanto vorrei.

- Quindi per fare un miglio ti basta fare il giro della casa per sette volte.

- È tantissimo.

- Puoi cominciare subito. Basta che esci dalla porta. Inizia piano, col tempo migliorerai. Ti assicuro che correndo un miglio al giorno per tutta l'estate, in autunno sarai ammessa nella squadra di hockey.

mercoledì 22 settembre 2021

la tazza azzurra tinta unita

nelle prime righe di pagina sette del mio romanzo "l'inventario delle mie stranezze" c'è scritto "la mia tazza, quella azzurra". mentre nel dattiloscritto che avevo consegnato all'editore c'era scritto "la mia tazza, quella azzurra tinta unita". la persona che ha revisionato il testo ha reputato che "tinta unita" fosse pleonastico* e l'ha tolto.

una autrice deve decidere quali battaglie combattere, non si può impuntare su qualsiasi proposta di modifica, sia per non rendersi insopportabile, sia per essere più credibile quando si rifiuta di cambiare qualcosa. quindi ho accettato di buon grado di sacrificare "tinta unita" fingendo che per me non avesse senso o valore.

esempio di dialogo tra me e il matematico:

- per favore, mi fai un tè?
- che tazza vuoi?
- quella azzurra tinta unita.

come potete vedere, la risposta "quella azzurra" non avrebbe specificato alcunché.


*avevo scritto ridondante, ma pleonastico è una parola cui sono affezionata: l'ha usata il matematico nell'sms in cui mi augurava buon anno 2004, tre mesi prima che diventassimo qualcosa insieme.

giovedì 16 settembre 2021

gli inetti

io e il matematico siamo due inetti in casa. nessuno dei due ha mai voglia di pulire, riordinare, dare una parvenza di vivibilità alla casa. se fosse per il matematico arriveremmo ai livelli di "sepolti in casa", ridotti a scavalcare cumuli di immondizia per passare dal letto al divano, e incapaci di gettare i cartoni del latte vuoti.

in 14 anni sotto lo stesso tetto (tre tetti diversi a dir la verità), il matematico non ha mai preso una spugna in mano per pulire il bagno, né mai passato l'aspirapolvere di sua iniziativa. con grande sforzo e malvolentieri fa qualcosa se costretto. e non è che io sia un'amazzone del pulito o pretenda di avere pavimenti così lustri da poterci mangiare.
periodicamente ci diciamo che forse dovremmo cercare un aiuto domestico. tutte le volte decidiamo che non è poi così sporco né in disordine da dover sopportare che un* sconosciut* metta le mani nelle nostre cose.

a causa della nostra inettitudine, le piccole riparazioni necessarie diventano una questione di stato. abbiamo una lampadina fulminata da mesi (o più probabilmente da prima dell'inizio della pandemia), ma siamo troppo incapaci per sostituirla.

abbiamo avuto la lavastoviglie allagata per settimane, ci siamo lavati assecondando le bizze della caldaia per tre mesi, ci siamo tenuti strati di muffa sui muri per anni, prima di far intervenire qualcuno. ma anche: abbiamo lasciato l'aspirapolvere in mezzo al corridoio per due settimane in attesa che a qualcuno venisse voglia di mettere il sacchetto nuovo.

adesso la porta della camera da letto cigola così tanto che se uno dei due la apre di notte l'altro/a si sveglia. e non basta più fare la mano a geco per non farla cigolare.

in compenso, incredibile a dirsi, abbiamo filtri del condizionatore splendenti. domenica il matematico li ha puliti per la prima volta in cinque anni. filtri che andrebbero ogni due settimane, ovviamente.

sabato 11 settembre 2021

è autobiografico?


è la domanda che separa il prima dal dopo. prima non sei una scrittrice e dopo sì, sei legittimata a definirti tale. la domanda spartiacque è: "ma il tuo libro è autobiografico?".

me l'hanno chiesto per tutti i romanzi che ho scritto e pubblicato. e ho capito che:
    A. le persone non sanno cosa significhi autobiografico
    B. spesso quella domanda ne nasconde un'altra (anche se non sono sicura di sapere quale).

iniziamo affrontando il punto A e definiamo autobiografico. secondo la treccani autobiografia è la "narrazione della propria vita o di parte di essa, soprattutto come opera letteraria"

la protagonista dell'inventario delle mie stranezze ha undici anni in un tempo contemporaneo, in cui c'è internet e ci sono i cellulari. io ho avuto undici anni nel 1993. quindi, se il romanzo fosse autobiografico, sarebbe ambientato in quell'anno. ma diciamo pure che ho ambientato la mia autobiografia in epoca contemporanea per dissimulare. vi sembra possibile che io nel 1993 abbia ricevuto una diagnosi di autismo? persino oggi è difficile arrivare a una diagnosi del genere, all'epoca credo che nemmeno esistesse. quindi no, l'inventario non è autobiografico.

forse però chi mi ha posto questa domanda pensa che io possa essere la madre della protagonista, e che abbia raccontato la storia di mia figlia. in quel caso il libro più che autobiografico, sarebbe biografico, perché non racconto la mia vita ma quella di una persona che conosco. anche qui, comunque, rientriamo nel genere fantascienza, dato che non ho figli.

e ora veniamo al punto B. cosa voleva sapere davvero la persona che mi ha chiesto se l'inventario (ma anche "maschiaccio e femminuccia" o "aria e altri coccodrilli") è autobiografico? io credo che volesse sapere se sono davvero autistica (se ero davvero un maschiaccio/se sono stata davvero depressa a diciotto-vent'anni), se ho vissuto le cose che ho raccontato, se so di cosa parlo o se in definitiva sono una millantatrice, una ciarlatana, una impostrice.

ricordo molto bene quando ho terminato la lettura del romanzo "la madre di eva", un libro potentissimo che mi ha fatta piangere. il tema trattato è quello della disforia di genere. quando ho scoperto che l'autrice non aveva alcuna esperienza diretta con l'argomento ma si era semplicemente documentata, mi sono sentita tradita. improvvisamente il libro ha perso di valore ai miei occhi "ah, è tutto finto". delusione. 

ora, so che è una cosa stupida da pensare. i romanzi sono storie inventate, ne scrivo pure, ho idea di cosa siano. eppure è come se per i libri di cui mi chiedo "è autobiografico?" pretendessi che l'autore non avesse inventato tutto, perché per la mia sensibilità certi argomenti, certe storie, non si devono inventare, per rispetto, per pudore, perché è più giusto che siano raccontate da chi le conosce meglio.

voi che idea vi siete fatti? perché chiedete agli autori se il loro romanzo è autobiografico? e da scrittori? cosa pensate celi quella domanda?

domenica 5 settembre 2021

ho deciso di essere una scrittrice felice


sono da sempre una persona (e una scrittrice) infelice e insoddisfatta.
non ho mai capito chi sostiene che ognuno è artefice della sua felicità, che la felicità è una scelta.
fino a ora. ora credo di aver intuito cosa intendono e mi sono convinta che hanno ragione. 
se lo sforzo di rendere felice la mia vita intera mi sembra al di fuori delle mie possibilità, ho deciso che almeno nell'ambito della scrittura posso scegliere di essere felice.

ho passato anni a saltare da una delusione all'altra: romanzi rifiutati, racconti non pubblicati, concorsi persi, vendite insoddisfacenti. mesi a cercare di ritrovare fiducia e a mettermi a scrivere qualcos'altro. che puntualmente veniva rifiutato. e quel rifiuto appena nato mi gettava di nuovo nello sconforto e nella disperazione.
in ogni dato periodo riponevo tutte le mie speranze solo su un testo: un racconto di due pagine, un romanzo breve.
da adesso non sarà più così: ho abbastanza libri pubblicati e abbastanza libri in cantiere da vedere davanti a me solo grandi soddisfazioni e possibilità: concorsi da vincere, contratti da firmare, ristampe di cui gioire, traduzioni all'estero di cui essere orgogliosa. i rifiuti, le recensioni negative, le vendite al di sotto delle aspettative non avranno più il potere di scalfire il mio entusiasmo. anche perché sono tutte cose fuori dal mio controllo.
una grossa fetta del successo di un autrice ha a che fare con la fortuna e il tempismo. il mercato editoriale non è né giusto né meritocratico: ci sono libri straordinari che non hanno alcun successo e libri mediocri che scalano e le classifiche. io continuerò a scrivere al meglio delle mie possibilità per dare alla fortuna la possibilità di incontrarmi ancora e ancora sulla sua strada.
e tutto quello che arriverà sarà stupendo. 
intanto gioisco di tutto quello che ho raggiunto, che è meraviglioso e per nulla scontato.