È una sera d'estate. Ho 3 o 4 anni. Sono alla sagra del pomodoro con mia mamma e mia sorella. È una festa di paese, c'è la pista da ballo, ci sono i tavoli di legno con le zampe di metallo verdi ripiegabili e le lunghe panche abbinate, c'è tanta gente conosciuta, adulti e bambini.
Mia madre mi lascia a giocare con qualcuno. A un certo punto mi scappa la pipì, cerco mia madre con lo sguardo e non la trovo, chiedo a qualcuno se l'ha vista, ma nessuno sa dove sia.
Mi scappa la pipì e decido che la cosa giusta da fare è tornare a casa, da sola. La strada è breve, la conosco a memoria, l'ho percorsa molte volte, si tratta di passare sulla stradina accanto alla casa di Rica, poi si attraversa la strada asfaltata e si cammina sul ciglio fino a quando si raggiunge il cancello di casa. È facile. E lo faccio.
Una volta arrivata sullo zerbino, abbasso la maniglia, ma la porta è chiusa, la mamma e la Cinzia non ci sono e mi scappa la pipì.
Poco dopo arriva papà, ferma la macchina nel cortile. È appena tornato dal lavoro. Scende e chiede: - Cosa ci fai lì? Dove sono la mamma e la Cinzia?
Gli racconto della festa del pomodoro, del fatto che non trovandole più fossi tornata a casa per fare la pipì. Alza la voce, mi scuote, sbraita e la pipì scende calda lungo le gambe, inzuppa i calzini e arriva fin dentro le scarpe. E poi arriva mia madre, e anche lei mi scuote e sbraita e chiede cosa mi sia passato per la testa.
Entriamo in casa, e forse si accorgono che la pipì mi è scappata davvero e vengo cambiata e siamo tutti in camera, seduti sul pavimento con i miei genitori che mi urlano di non farlo mai più, che gli ho fatto prendere uno spavento, che mai al mondo mi avrebbero lasciata sola senza avvertire, che anche se io non li vedevo, loro vedevano me, che la strada è pericolosa, trafficata, non illuminata e avrei potuto finire investita sotto una macchina.
Piango, piangiamo tutti, credo.
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