Mio nonno andava a caccia. Non so a quali animali sparasse, forse agli uccelli. Non so se mi sia capitato di mangiare qualcuna delle sue conquiste, con contorno di patate al forno. Il suo fucile, quando è morto, è diventato di mio padre. Teneva i piccoli proiettili nella sua officina, a destra della piccola porta in legno, sulla cui cornice io e mia sorella segnavamo i nostri progressi in altezza, cercando sempre di spingere la penna un po' più su, per sembrare più alte. Appeso alla porta, verso l'interno, c'era sempre un calendario con le donne nude, cui io e mia sorella disegnavamo mutande e reggiseni usando pennarelli indelebili a punta piatta. Litigavamo sempre per avere l'onere, o l'onore, di rivestirle mese per mese.
I proiettili del fucile erano in una scatoletta di cartone. Erano piccoli. Presi singolarmente non sembravano un granché, ma la scatola, tutta insieme, era pesantissima. Mio padre li chiamava pallini, credo.
Il fucile non ricordo dove fosse riposto, non ricordo nemmeno di aver mai visto mio padre sparare.
Adesso è in taverna, in un armadio portafucili a tre posti. Due sono occupati. Il secondo fucile è arrivato dopo. Secondo Cechov spareranno ancora.
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