Abbiamo un cane. È un cane di piccola taglia, un bastardino. Si chiama Bibi, o Billy, o Pallino. Poi un giorno non ce l'abbiamo più.
Molti anni dopo mio padre, davanti a me, racconterà: - Sì, coi cani non c'è da fidarsi. Sembrano buoni, ma sono imprevedibili. Diventano gelosi. Quando la Silvia era piccola, il cane l'ha aggredita, le ha morso la faccia. Allora ho preso il fucile, ho portato il cane là dietro e gli ho sparato.
Là dietro stava a indicare dietro la voliera.
Avevamo una grande voliera, ci si poteva entrare dentro e camminare, per quanto era grande. E in questa gabbia immensa mio padre teneva degli uccelli che per me erano indistinguibili, ma che lui mi indicava di volta in volta chiamandolo lucherini, cardellini, verzellini. Gli unici riconoscibili erano i canarini. Gialli.
Li nutriva con miscele di semi che compravamo in un negozio che era stato un mulino.
Dentro la voliera c'erano piccoli abbeveratoi di plastica che mio padre puliva e riempiva regolarmente. Anche i semi venivano distribuiti spesso e in abbondanza. Gli uccelli, non potendo procurarsi liberamente il materiale con cui costruire il nido, deponevano le uova in finti nidi che mio padre predisponeva amorevolmente nei periodi giusti.
Mi faceva vedere le piccole uova, deposte in questi mezzi gusci regolari, diversissimi dai nidi che vedevo tra i rami nel bosco.
Non so con quanti colpi di fucile mio padre abbia ucciso il nostro cane, colpevole di avermi morso. Ma deve aver causato un gran frullare d'ali dentro alla voliera.
2 commenti:
Questi tuoi ricordi mi inquietano un po'
tormentano anche me
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