mi piace ascoltare i 5 minuti degli altri, scoprire nuovi aiutori o intravedere nuovi punti di vista su titoli che già conoscono.
ieri sera una signora ha letto l'incipit di "una notte d'inverno un viaggiatore", un libro che ho detestato per quella seconda persona singolare così invadente e sfacciata.
un'altra ci ha letto qualcosa di fois perché a lei piace la letteratura sarda, che ha iniziato a conoscere grazie a michela murgia.
un signore molto erudito ha parlato del tempo e consigliato libri su questo tema.
poi uno dei librai mi si è avvicinato e mi ha chiesto se volessi avere anch'io 5 minuti.
presa alla sprovvista i miei neuroni hanno iniziato a rimbalzare come palline da flipper impazzite da un titolo all'altro.
alla fine ho scelto un libro sicuro, solido, una di quelle letture eterne, che non esaurisce la sua forza nel breve periodo ma continua a scavare, e a sprigionare nuova energia a ogni rilettura.
non sono una che rilegge. rileggere mi delude sempre. i libri che ho amato un periodo della mia vita, riletti in un altro diventano armi spuntate, giocattoli rotti.
"le piccole virtù" di natalia ginzbug no.
è questo che ho provato a dire, confusamente, nei miei 5 minuti. leggendo la prima pagina del saggio che dà il titolo alla raccolta, e leggendo poi un pezzetto dell'intimo e struggente omaggio a pavese da "ritratto di un amico".
in realtà di quel libro avrei voluto dire altro: avrei voluto dire che nei libri, di solito, si cerca di empatizzare con i personaggi, di capire le loro motivazioni, le loro scelte, le loro contraddizioni. a volte questo lavoro riesce più facile, perché magari un personaggio somiglia a noi, si trova ad affrontare situazioni e dilemmi simili ai nostri. a volte è più difficile perché il protagonista ci è antipatico, è mosso da valori che non condividiamo. ma sempre, per quanto ci sentiamo vicini ai personaggi, sappiamo di essere altro da loro, di vivere un altro tempo, un'altra realtà, di essere circondati da persone diverse.
con "le piccole virtù" non riesco ad avere questo distacco. l'incipit di "lei e lui" e di "il mio mestiere" generano in me una totale identificazione al punto che tra me e ciò che leggo non c'è alcuna distanza. quelle parole sono le mie parole, quell'io narrante sono io.
"il mio mestiere è scrivere e io lo so bene e da molto tempo".
"Lui ha un grande senso dell'orientamento; io nessuno. Nelle città straniere, dopo un giorno, lui si muove leggero come una farfalla. Io mi sperdo nella mia propria città; devo chiedere indicazioni per ritornare alla mia propria casa."
poi ho pensato che mi sarei esposta troppo con questo discorso e ho lasciato perdere, ripiegato in fretta e furia su questioni più universali. ma l'ho fatto con una stupida voce tremante. ancora più agitata che per la presentazione del mio stesso libro.