venerdì 19 marzo 2021

considerazioni finali sul progetto #miopadre


ho raccolto i ricordi che avete letto fin qui verso settembre dello scorso anno. volevo farne un romanzo, o meglio, una mosaic novel. l'idea mi era venuta leggendo clinamen di sara gavioli (libro che ho molto amato e che vi consiglio di leggere). come lei, avrei preso dei microracconti, delle unità indipendenti, e le avrei accostate per costruire una storia coerente.

scrivendo mi sono resa conto che la banalità del male mal si sposava con la necessità di una narrazione di essere movimentata e orientata alla crescita. mi sembrava che avrei continuato a scrivere sempre lo stesso frammento, leggermente diverso dagli altri, ma nella sostanza identico. del resto le dinamiche familiari si ripetono sempre uguali.  

questi episodi sono selezionati, ma costituiscono meno dello 0,01% della mia infanzia. per il restante 99,9% ho avuto dei giorni "normali", una famiglia normale. mio padre mi leggeva la storia della gallina emma e quella dell'orsetto tuttafretta, mi faceva fare i giri in moto seduta sul serbatoio della gilera rossa, portava me e mia sorella cinzia a vedere la macchina di mattia nel bosco (un catorcio avviluppato dalle piante), usava le sue doti di aggiustatutto per riparare i danni che facevo in continuazione, tra cui il peggiore: rompere la baby mia di mia sorella sculacciandola come era stata sculacciata Flo nella puntata di "L'isola della piccola Flo" che mia sorella si era persa e che io cercavo di raccontarle. 

che bisogno c'era di pubblicare questi ricordi? perché l'ho fatto? cosa volevo dimostrare?

non ne ho idea.

nel 2015, quando per la prima volta ho raccontato queste cose ad alta voce alla mia terapeuta chiedendole cosa avrei dovuto fare, come avrei potuto perdonare mio padre o ricostruire un rapporto con lui, la psicologa mi ha risposto: "lei è una donna intelligente, se ci fosse una soluzione semplice l'avrebbe già trovata".

ho smesso di parlare a mio padre nel 2011, quando per chiudere una discussione con mia sorella Chiara le ha dato uno schiaffo così forte da spaccarle un labbro. (ho raccontato questo episodio, romanzandolo, nel racconto non dirlo a nessuno

non ho una versione di mio padre, non posso dar voce alla sua infanzia, ai suoi ricordi. probabilmente tutto troverebbe una motivazione d'essere. forse su di noi ha finito per replicare il tipo di educazione che ha ricevuto, perché era l'unica che conosceva.

le mie sorelle non condividono con me questo tipo di narrazione. loro continuano a mantenere un rapporto con mio padre. anche se io non me ne capacito. com'è possibile che io non parli a mio padre, da quando mio padre ha dato uno schiaffo a mia sorella. mentre mia sorella, che quello schiaffo se l'è preso, è passata sopra a quell'episodio?

mi sento come se fossi vissuta nel mondo di coraline immaginato da neil gaiman. è come se fossi stata cresciuta dall'altro padre, quello con gli occhi a bottone, che si trova dietro una porta murata. ma è possibile? perché io e le mie sorelle abbiamo una percezione così diversa di quello che è stata la nostra vita in famiglia?

la cosa che mi ha colpita è che qualche settimana fa, proprio mentre pubblicavo i frammenti, mio zio ha condiviso con me questa notizia:


in sostanza, galia oz, la figlia di amos oz ha scritto un'autobiografia raccontando che mostro sia stato per lei suo padre, il famoso scrittore amos oz.
se come galia oz scrivessi un'autobiografia, di sicuro non la inizierei come ha fatto lei, è vero che mio padre mi ha picchiato, ha imprecato contro di me e mi ha umiliata. ma non ho l'impressione di aver vissuto in una "routine di sadico abuso". 
però alcune simmetrie ci sono e una in particolare la trovo inquietante: che bisogno c'era che questa donna fosse una scrittrice per bambini? (sì, sono una scrittrice per ragazzi. con EL - lo stesso editore che pubblica gianni rodari - ho pubblicato "maschiaccio e femminuccia". a luglio di quest'anno uscirà: "l'inventario delle mie stranezze")

la domanda che resta è: com'è possibile crescere nella stessa famiglia, con gli stessi genitori, e costruire della stessa persona un'immagine così diversa?

PS: quella nella foto sono io

2 commenti:

Kukuviza ha detto...

però uno schiaffo che spacca il labbro è una cosa oggettiva. così come immagino anche gli altri episodi di violenza.
Immagino sia diverso il peso che viene dato a questi episodi oggettivi dai vari componenti della famiglia.
tua madre mi pare di aver capito che "giustifica" o comunque accetta questi comportamenti senza darne lo stesso valore che ne dai tu.
forse viene data maggior importanza ai tratti positivi di tuo padre, però se vi metteste lì a parlare dei fatti oggettivi, reali, forse un accordo lo trovereste? una percezione simile?

azzurropillin ha detto...

Secondo me è un problema di scala di valori. Nel momento in cui nella mia scala di valori la violenza è inaccettabile, mentre nella loro la famiglia viene prima, non penso sia possibile trovare un accordo.
Loro dicono, è vero c'è stato uno schiaffo MA...
mentre per me quel ma non esiste. Io vedo solo lo schiaffo