l'ultimo giorno in gelateria è un sollievo e una tristezza.
guardi i tavoli all'aperto ricoperti delle foglie secche dei tigli e pensi.
pensi a quante volte hai passato la spugna su quei tavoli e al ciclo vitale di quegli alberi, che prima hanno rilasciato per settimane una sostanza appiccicosa, poi hanno fatto cadere i loro semi e ora stanno liberandosi delle foglie secche.
pensi a quanti clienti hai servito con il sorriso anche se si sarebbero meritati il caffè bollente in faccia, e a quanti clienti ti hanno sorriso quando tu non ne avevi alcuna voglia.
pensi al panificio dove tutte le mattine compravi il dolce alle mele, al giornalaio che ti riconosceva e ti dava il kronen zeitung e il kurrier senza che glieli dovessi chiedere, ai colleghi della pizzeria vicino che ti salutavano e alla proprietaria del negozio di vestiti che ti sorrideva. al tizio che prendeva la birra grande e ti diceva che eri troppo seria e che quando sorridevi era molto meglio. al signore tedesco che ti parlava in italiano per averci abitato per anni, e ti diceva di quanto sia bella l'italia.
pensi a tutti i colleghi con cui hai lavorato e se ne sono andati o sono stati cacciati e ti senti una sopravvissuta e hai la sensazione di essere sopravvissuta non tanto perché sei più brava ma più scema, più incline a farti usare e sfruttare e umiliare. pensi a quanto lavoro non tuo hai fatto perché le cose funzionassero bene. pensi che hai buttato altri sei mesi della tua vita nel cesso e oggi si tira un'altra volta lo sciacquone. e la merda va giù, insieme alle lacrime, alla rabbia, alla stanchezza, al noncelapossofare.
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