il matematico odia comprare vestiti. odia i negozi che li vendono, i camerini dove spogliarsi e rivestirsi, le commesse moleste, le pile di capi, le relle con le cose appese, le luci, i colori, la scelta tra cose tutte inutilmente simili e ugualmente brutte o alla meglio indifferenti.
il matematico si veste di stracci, dorme coi pigiami bucati e senza più elastico che abbiamo comprato insieme a torino quindici anni fa, va in giro con pantaloni color vomito che possiede da prima che ci mettessimo insieme (19 anni fa), non vuole nemmeno tagliare i fili che pendono dai maglioni slabbrati. devo litigare per buttargli via le mutande bucate, le scarpe da corsa sfondate. devo litigare minacciando "te li brucio quei pantaloni (o quel maglione, o quei calzini)" per costringerlo a indossarne di puliti dopo due settimane che glieli vedo addosso.
qualche giorno fa, dopo anni di sfinimento, maglioni gettati a sua insaputa, pantaloni strappati sul sedere che si vergognava a mettere, si è arreso ad acquistare una lista di capi nuovi, decisi in base a un algoritmo, a un foglio excel, a una conta che ha richiesto un intero pomeriggio.
mentre si trascinava mesto dietro di me, diretto da zara con lo stesso passo che avrebbe usato per percorrere il miglio verde, ho cercato di tirargli su il morale facendogli pensare a quante esperienze peggiori gli siano capitate nella vita, e che tutto sommato lagnarsi per dei pantaloni nuovi sembrava un po' eccessivo.
ha decretato che peggio dello shopping c'è solo la gastroscopia senza anestesia.
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