Abitiamo ancora nella vecchia casa. Se apro una porta posso andare a trovare la nonna: la stufa, la polenta cucinata nel paiolo, la scatola di latta con dentro i bottoni, le sue mani doloranti rattrappite dall'artrosi, il kyro nel cassetto vicino al frigorifero, la foto di mio nonno in bianco e nero in una piccola cornice rotonda, l'immagine di San Giovanni Bosco sotto il calendario di Frate Indovino.
Chiara, mia sorella minore, è piccola, cammina, ma porta ancora il pannolino.
La sento piangere, corre in camera verso mia madre. In faccia, su una guancia, ha stampate le dita di mio padre. Rosse. In rilievo. Si distinguono come se fossero state scolpite.
Le lacrime le si staccano dagli occhi una dopo l'altra come grosse perle.
E viene da piangere anche a me, perché so quanto brucia sulla pelle, e so quanto fa male non sapere chi è tuo padre: se quello che gioca e fa il solletico e legge le storie e ti fa volare sopra le sue spalle e ti compra il gelato alla stracciatella, o quello ti colpisce senza preavviso e senza motivo, facendoti passare dal riso al pianto in meno di un secondo.
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